Cerca nel blog

mercoledì 25 agosto 2010

Fisco: non chiediamo il paradiso ma almeno toglieteci dall'inferno...

L’attenzione è rivolta sempre là, al paradiso fiscale. Sembrerebbe un luogo cui ambire, invece no, assolutamente bandito.
Siamo all’inferno e dobbiamo restarci.
Secondo l’idea - ma forse dovremmo chiamarla sciocchezza - che se stiamo tutti all’inferno - sempre fiscale - poi si traghetta tutti in purgatorio.
Raramente i nostri politici  hanno ipotizzato ci fosse un’altra soluzione. E quando l’hanno fatto hanno subito aggiunto che in quel momento non potevamo permettercelo.
Dicevamo che siamo all’infermo fiscale, ma non perchè il gettito è speso male. Questo è un’altro discorso: riportare il fenomeno dell’evasione tra chi può - e lo fa - e chi non può - e non lo fa, crea solo una fastidiosa ed inutile spaccatura sociale. Insomma roba da bar, tanto per parlare, senza  mai chiedersi cosa farebbero quelli che non lo fanno - perchè non possono - se solo potessero.
Siamo all’inferno perchè legislatore e pubblica amministrazione si sono dimenticati che la pretesa tributaria deve essere progressivamente correlata alla capacità contributiva.
Qualche esempio:
Prima ancora di parlare di riduzione di aliquote occorrerebbe trattare di correttezza del reddito imponibile. Spese auto, telefonia, rappresentanza, ristoranti: forfettizzazioni inaccettabili, nate non per equità fiscale ma per compensare la perdita di gettito iva prima estorta. Non si deve sentire derubato un agente di commercio che fa 60.000 km all’anno, la macchina non deve costare più di 18.000 e spiccioli (per chi non rammenta: il prezzo della nuova 500 supera anche 20,000 euro, il nuovo maggiolino - la macchina del popolo quando nacque -  da 21.500 euro.....), deve durare 4 anni (come quella del responsabile amministrativo che ci fa casa ufficio), non la si può dedurre tutta, mangia fuori casa ma un quarto delle portate sono un benefit (anche quando mangia un piatto solo...), un quinto delle telefonate sono cazzeggio.... Fate due conti: 4 o 5 mila euro all’anno di maggiori imposte dirette. Altro che equità.

Anche la famigerata semplificazione tributaria è rimasta lettera morta. Salvo qualche timido intervento tremontiano. Per i tecnici: ricordate il calcolo della Dit nel caso di reddito imponibile ma perdita contabile? O le attuali agevolazioni sulle coop? Anche excel si rifiuta di collaborare ad un calcolo in cui il risultato è anche operatore....
Equità è anche semplicità, semplicità è riduzione dei costi amministrativi (i colleghi non me ne vogliano, siamo bravissimi a fare altro che liquidare imposte e compilare moduli, sappiamo perfino far crescere le imprese....)

Equità tributaria è  anche interpretazione fedele del dettato normativo da parte dell’Amministrazione finanziaria. Un esempio? Quando l’iva sulle vetture è diventata (più deducibile) il Fisco sostenne che i pedaggi autostradali erano esclusi dalla norma: non strettamente correlati: l’iva sugli stessi non si poteva dedurre. Ma poi quando di parlava di imposte dirette, beh allora erano assimilati, quindi deduzione parziale....

Equo ancora deve essere l’atteggiamento dei verificatori, a cui è demandata la verifica della correttezza delle determinazioni del contribuente. Non la ricerca spasmodica di maggior imponibile. Nè la ricostruzione sintetic-induttiv-fantasiosa del reddito, dopo aver pretestuosamente disconosciuto un impianto contabile, per una fesseria qualsiasi. L’obiettivo purtroppo sembra sempre quello: far pagare a chi già paga.

Equo ancora vorremmo il contenzioso tributario, dove - salvo casi rari come i quadrifogli - chi giudica (mi riferisco in particolare alle commissioni provinciali) o non sa quel che dice oppure non legge le carte. Anzi - forse - : non sa quel che dice e non legge le carte.

Infine lo vorremmo anche rigoroso: si tanto rigoroso quanto equo.

martedì 24 agosto 2010

Perché dimentichiamo di ricordarci

Non basta un’intelligenza sopra la media; neanche una memoria sopra la media. E’ un problema irrisolto: le password sicure si dimenticano.
Nonostante ciò il Garante della privacy è stato chiaro al riguardo: almeno otto caratteri, non contenere riferimenti personali, cambiarla ogni tre o sei mesi (a seconda dei dati conservati).
Ma ha sopravvalutato la psiche umana.
Una dimostrazione?
Il “New York Times” sicuramente annovera tra i suoi lettori persone di cultura e memoria superiore. Ebbene, ha dichiarato che ogni settimana 1.000 dei suoi lettori richiedono la sostituzione della password perchè dimenticata e che il 15% dei nuovi utenti in realtà sono già registrati ma hanno dimenticato sia username che password (qualcuno forse s’è dimenticato pure di essersi già registrato).
Ecco perchè ognuno di noi escogita un sistema che, incurante della sicurezza, permette di non passare per imbecille con l’amministratore di rete.
Spesso non pensando troppo alle disgrazie che seguiranno....
Neanche all’Agenzia delle Entrate, il personale riesce a tenere segrete le proprie credenziali: negli ultimi anni si è generata una serie infinita di arresti, da Milano a Palermo, di funzionari che con le password di ignari colleghi procedevano a indebiti sgravi fiscali....
In definitiva la prossima volta che dimentichiamo una password non vale la pena affliggersi: è assolutamente umano.
Un trucco degli esperti (per quel che può valere...): non pensate troppo alla nuova password, se passate i due minuti resterà totalmente segreta. Anche a voi.

venerdì 13 agosto 2010

Sweetbetty69 e il cloud computing



“Avvocato, se cortesemente mi detta la sua mail le mando tutta quanta la documentazione in pdf...”  .
 
Mii risponde: “ Si...,no....., non è meglio un pony? Sa si legge meglio....”.

“Non saprei come fare, più che un pony servirebbe un piccione viaggiatore: mi sono concesso qualche giorno di vacanza fuori porta e lo studio è chiuso per la settimana di Ferragosto, allora facciamo così: glielo carico sulla Repository, le detto le credenziali di accesso e lei lo scarica quando e dove vuole...”.

"Repo..chè?"

"Repository, ha presente il cloud computing, stà tutto sulla rete, utilizzabile ovunque ci si trovi con un computer o uno smatphone..”

"Dottore mi sono laureata in legge, mica in lingue.... neanche in informatica.... il computer lo sappiamo usare bene qui in studio, non le sto a raccontare: grassetto, giustificato,... qualche problemimo con l'ultima riga della pagina che non sta mai al suo posto.... E usiamo internet ed anche facebook.... siamo moderni qui....".

"Bene Avvocato, allora posso avere la sua e-mail si studio?"

"Si ma mi telefoni quando mi scrive così controllo se arriva..... Comunque eccola “Sweetbetty69@virg****.it .......”

L’ho inventata? No, solo romanzata un pò, ma in stretta aderenza a fatti realmente accaduti.
Nell’era del cloud computing, con servizi tanto utili (anche per noi professionisti) quanto economicamente accessibili (vedi Googleapps, Tungle, Yast, Wave, Mobile Me, ecc), molti di noi, ahimé, non hanno neanche un indirizzo mail presentabile. 
Ciò mi ricorda tanto qualche vecchio avvocato che, cambiato lo studio (un pò più piccolo, un pò meno centrale, oramai i clienti mi conoscono, mi vengono a cercare), mi porgeva un biglietto da visita diligentemente corretto a mano dalla segretaria.... 
Chi gli spiega che esiste Bump: mentre ci stringiamo la mano, i nostri telefonini si scambiano i recapiti, senza errori di trascrizioni e incazzature per ritrovarli....