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venerdì 16 dicembre 2011

Quello che i politici non ci dicono sull’evasione fiscale

L’Italia sarebbe un Paese migliore se non ci fosse evasione.
Si certo lo pensiamo tutti, non solo i governanti... Anzi mi correggo: lo pensiamo quasi tutti e non è detto che lo pensino tutti i governanti.
Quello che è certo è che la lotta all’evasione NON risolve il deficit dello Stato. E’ solo un problema di ridistribuzione, un serio problema di equità sociale, ma non risolve lo squilibrio delle casse sociali.
Ecco infatti quello che i politici non spiegano ai contribuenti.
La pressione fiscale in Italia, nel 2011 è   del 42,5% (dati comunicati dal Tesoro). Salirà al 43,8% nel 2012: grazie Governo tecnico!).
In base ai dati elaborati dall’Ocse (anno 2010) l’Italia è quindi il quarto paese europeo con la maggiore pressione fiscale, preceduto da Belgio (di poco), Svezia e Danimarca;  comunque al disopra della media europea di 5 punti percentuali. La decantata Germania ha un 36,3%.
In base alle recenti chiacchiere riportate da tutti gli illustri giornalisti, l’evasione in Italia si attesterebbe tra i 180 e i 275 miliardi di euro (dalle 6 alle 10 manovre finanziarie…)
Poichè il Pil è di 1.548 miliardi (Istat  2010), se i dati dell’evasione fossero veri, la pressione fiscale in Italia sarebbe fissata al 54% (evasione di 180 miliardi) ovvero  al 60% (evasione di 275 miliardi).
Appare evidente che un sistema con pressione fiscale così elevata non può reggere, il reddito consumabile sarebbe troppo esiguo e la crescita del sistema impossibile.
Auspichiamo una seria lotta all'evasione, ma per sistemare i conti dello Stato resta  solo una soluzione: tagliare i costi.

giovedì 14 luglio 2011

Professionisti: facciamo volontariato per il terzo settore, mica per il primo né per il secondo.


Prima o poi ci arriviamo tutti. Scoperto il male, giustificato a noi stessi in ogni modo per non apparire fessi (sempre a noi altri), prima o poi riusciamo a liberarcene. Con uno sforzo duro, ma allo stesso appagante, pari a quello di smettere di fumare. Ma a differenza di questo, senza il timore di ricaderci…
Di che parlo? Del lavoro regalato!
Si, chi fa attività professionale, un lavoro autonomo in genere, lo sa: una parte di lavoro svolto non verrà mai pagata.
Non mi riferisco alla “ perdita su crediti”, al cliente che tracolla nonostante tutti gli sforzi per salvare la propria impresa. 
E nemmeno al principio liberale del prezzo fatto dalla libera concorrenza e quindi dell’assottigliamento del margine per l’eccesso di offerta.
Penso invece proprio alla brutta abitudine di accettare incarichi malpagati (o anche non pagati) in virtù di una aspettativa, promessa, miraggio, che ovviamente non si realizza mai. Mi riferisco a due grandi, enormi, classi di persone:
- quelli che i soldi non li hanno, ma fanno credere di averli, quindi si dileguano al momento in cui li metti alle strette. Tra questi, alcuni,  con finta amicizia ti hanno estorto un'"apertura di credito" che - obiettivamente - non gli avresti mai concesso; prima di dileguarsi ti fanno pure una paternale..... Io, li riconosco solo a danno fatto, mia moglie - e socia - li fiuta subito: " Fabri, ma non vedi che puzza'i fame...."
- quelli che  i soldi li hanno, anche quelli che ci siamo guadagnati. Ma li tengono per sé, quasi fossero i nostri fiduciari, rinviando il saldo ad un futuro, ma molto prossimo, momento. Momento in cui il credito è divenuto così alto che te ne pagano la metà e fanno pari e patta. Spesso vogliono pure un grazie.
In gioventù ho prediletto la strada di fare molta pratica: studiare molto e trovare molte occasioni per applicare quanto appreso. L’utilità era formativa e quindi la remunerazione, quella in moneta, secondaria.
Nel tempo ho dimenticato di “switchare” la formula “più formazione meno remunerazione” e lasciato più di uno approfittarsene. 
Stamattina son cambiato.
Prospect, Clienti: siete avvisati…..

venerdì 13 maggio 2011

Web marketing per professionisti: la Wonder wheel non mente


Non c’è modo migliore di iniziare una giornata lavorativa fitta di pratiche per le quali la scadenza è paurosamente vicina: dedicarsi ad altro, qualcosa che distolga l’attenzione e porti l’ansia ad un livello controllabile......

E’ un po’ che mi chiedo se nel web - come professionista - bisogna esserci “tanto” o bisogna esserci “bene”. Suona stupida anche a me, detta così.
“Tanto” è notorietà e questo è già un bene....... L'importante è evitare il "tanto per esserci"....Gli amici esperti di comunicazione e marketing si prodigano in brevi consigli (mi fanno assaggiare il prodotto, ma non come all'happy hour che ti abbuffi con pochi euro, loro creano il bisogno...).
E la wonder wheel?
Già, stavo dimenticando……
La wonder wheel non mente: altro che reputazione, contatti amici su fb.... la ruota magica di Google non  è  la sfera di cristallo della maga che predice il futuro. la ruota magica dice dell'oggi e dell'ieri, quello vero però.
La faccio subito “girare” sul mio nome.....

Ecco emergere il profilo su Linkedin, diversi riferimenti all'attività professionale e all'iniziativa collaborativa (e gratuita...) Wikilegal e..... eh??!!! Leggete un pò nell'immagine: prometto che non sono io........ Così scopro che ho un omonimo che non è uno stinco di santo e si fa pure beccare.....
Morale 1: in rete occorre sostenere gli aspetti positivi della propria immagine e cercare di non alimentare quelli negativi (ecco perchè non ho scritto a cosa si dedica l'omonimo...). Leggete l'ultima opera di Don Tapscott e scoprite che danni possono derivare dai social.....
Morale 2: vale la pena sperimentare sul web, provare e divertirsi. Ma a un certo punto diventa necessario farsi assistere da chi lo fà per mestiere.....

venerdì 26 novembre 2010

I dinosauri e la chimera

Certamente nel mondo reale i primi sono estinti e la seconda non è mai esistita. 
Nelle libere professioni, così come nelle fiabe, i dinosauri imperversano e la chimera è inseguita senza sosta.
La riforma della professione forense ne è conferma. In generale la riforma delle professioni è' argomento di grande  attualità in questi giorni, anzi lo è oramai da anni, ma in questi giorni tocca gli avvocati. (E il parlarne è un buon modo per farsi nemici).
Il mondo dei professionisti si divide in corporativisti e liberisti, più per tradizione che per approfondita comprensione dell'oggi (del domani manco a parlarne....)
Il corporativismo è la visione miope del problema, quella che mette a fuoco solo le cose molto vicine, lo status acquisito, la necessità di conservazione dello stesso per norma più che per merito.
Il liberismo è invece la visione idilliaca, di ampio respiro, migliore solo se già esistesse, perchè traghettare dallo status quo all'obbiettivo ci porta in acque sconosciute. E ci incute terrore.
Come in altri casi, i temi di discussione restano sempre l'inderogabilità delle tariffe, la competenza esclusiva, i modelli organizzativi societari e la pubblicità.
Forse una intesa andrebbe trovata su questi punti:
- inutile pretendere esclusive  e poi concedere alla associazioni di operare: l'esperienza dei patronati e dei Caf (i famosi regali offerti ai sindacati) hanno dimostrato, nelle professioni amministrative, che per i giovani professionisti il mercato di base, quello in cui si può iniziare ad operare, è sparito;
- occorre stimolare la specializzazione degli iscritti, anche con l'ausilio della formazione continua (che spesso è invece mera informazione....) e senza arroccamenti sull'anzianità "di servizio";
- la funzione dicotomica delgi ordini professionali non regge più: o tutela i cittadini riguardo le prestazioni professionali oppure tutela gli iscritti nell'esercizio della propria attività.
Sembra che un'altra occasione per uscire dal mondo della favole sia andata perduta......

 
 

mercoledì 25 agosto 2010

Fisco: non chiediamo il paradiso ma almeno toglieteci dall'inferno...

L’attenzione è rivolta sempre là, al paradiso fiscale. Sembrerebbe un luogo cui ambire, invece no, assolutamente bandito.
Siamo all’inferno e dobbiamo restarci.
Secondo l’idea - ma forse dovremmo chiamarla sciocchezza - che se stiamo tutti all’inferno - sempre fiscale - poi si traghetta tutti in purgatorio.
Raramente i nostri politici  hanno ipotizzato ci fosse un’altra soluzione. E quando l’hanno fatto hanno subito aggiunto che in quel momento non potevamo permettercelo.
Dicevamo che siamo all’infermo fiscale, ma non perchè il gettito è speso male. Questo è un’altro discorso: riportare il fenomeno dell’evasione tra chi può - e lo fa - e chi non può - e non lo fa, crea solo una fastidiosa ed inutile spaccatura sociale. Insomma roba da bar, tanto per parlare, senza  mai chiedersi cosa farebbero quelli che non lo fanno - perchè non possono - se solo potessero.
Siamo all’inferno perchè legislatore e pubblica amministrazione si sono dimenticati che la pretesa tributaria deve essere progressivamente correlata alla capacità contributiva.
Qualche esempio:
Prima ancora di parlare di riduzione di aliquote occorrerebbe trattare di correttezza del reddito imponibile. Spese auto, telefonia, rappresentanza, ristoranti: forfettizzazioni inaccettabili, nate non per equità fiscale ma per compensare la perdita di gettito iva prima estorta. Non si deve sentire derubato un agente di commercio che fa 60.000 km all’anno, la macchina non deve costare più di 18.000 e spiccioli (per chi non rammenta: il prezzo della nuova 500 supera anche 20,000 euro, il nuovo maggiolino - la macchina del popolo quando nacque -  da 21.500 euro.....), deve durare 4 anni (come quella del responsabile amministrativo che ci fa casa ufficio), non la si può dedurre tutta, mangia fuori casa ma un quarto delle portate sono un benefit (anche quando mangia un piatto solo...), un quinto delle telefonate sono cazzeggio.... Fate due conti: 4 o 5 mila euro all’anno di maggiori imposte dirette. Altro che equità.

Anche la famigerata semplificazione tributaria è rimasta lettera morta. Salvo qualche timido intervento tremontiano. Per i tecnici: ricordate il calcolo della Dit nel caso di reddito imponibile ma perdita contabile? O le attuali agevolazioni sulle coop? Anche excel si rifiuta di collaborare ad un calcolo in cui il risultato è anche operatore....
Equità è anche semplicità, semplicità è riduzione dei costi amministrativi (i colleghi non me ne vogliano, siamo bravissimi a fare altro che liquidare imposte e compilare moduli, sappiamo perfino far crescere le imprese....)

Equità tributaria è  anche interpretazione fedele del dettato normativo da parte dell’Amministrazione finanziaria. Un esempio? Quando l’iva sulle vetture è diventata (più deducibile) il Fisco sostenne che i pedaggi autostradali erano esclusi dalla norma: non strettamente correlati: l’iva sugli stessi non si poteva dedurre. Ma poi quando di parlava di imposte dirette, beh allora erano assimilati, quindi deduzione parziale....

Equo ancora deve essere l’atteggiamento dei verificatori, a cui è demandata la verifica della correttezza delle determinazioni del contribuente. Non la ricerca spasmodica di maggior imponibile. Nè la ricostruzione sintetic-induttiv-fantasiosa del reddito, dopo aver pretestuosamente disconosciuto un impianto contabile, per una fesseria qualsiasi. L’obiettivo purtroppo sembra sempre quello: far pagare a chi già paga.

Equo ancora vorremmo il contenzioso tributario, dove - salvo casi rari come i quadrifogli - chi giudica (mi riferisco in particolare alle commissioni provinciali) o non sa quel che dice oppure non legge le carte. Anzi - forse - : non sa quel che dice e non legge le carte.

Infine lo vorremmo anche rigoroso: si tanto rigoroso quanto equo.

martedì 24 agosto 2010

Perché dimentichiamo di ricordarci

Non basta un’intelligenza sopra la media; neanche una memoria sopra la media. E’ un problema irrisolto: le password sicure si dimenticano.
Nonostante ciò il Garante della privacy è stato chiaro al riguardo: almeno otto caratteri, non contenere riferimenti personali, cambiarla ogni tre o sei mesi (a seconda dei dati conservati).
Ma ha sopravvalutato la psiche umana.
Una dimostrazione?
Il “New York Times” sicuramente annovera tra i suoi lettori persone di cultura e memoria superiore. Ebbene, ha dichiarato che ogni settimana 1.000 dei suoi lettori richiedono la sostituzione della password perchè dimenticata e che il 15% dei nuovi utenti in realtà sono già registrati ma hanno dimenticato sia username che password (qualcuno forse s’è dimenticato pure di essersi già registrato).
Ecco perchè ognuno di noi escogita un sistema che, incurante della sicurezza, permette di non passare per imbecille con l’amministratore di rete.
Spesso non pensando troppo alle disgrazie che seguiranno....
Neanche all’Agenzia delle Entrate, il personale riesce a tenere segrete le proprie credenziali: negli ultimi anni si è generata una serie infinita di arresti, da Milano a Palermo, di funzionari che con le password di ignari colleghi procedevano a indebiti sgravi fiscali....
In definitiva la prossima volta che dimentichiamo una password non vale la pena affliggersi: è assolutamente umano.
Un trucco degli esperti (per quel che può valere...): non pensate troppo alla nuova password, se passate i due minuti resterà totalmente segreta. Anche a voi.

venerdì 13 agosto 2010

Sweetbetty69 e il cloud computing



“Avvocato, se cortesemente mi detta la sua mail le mando tutta quanta la documentazione in pdf...”  .
 
Mii risponde: “ Si...,no....., non è meglio un pony? Sa si legge meglio....”.

“Non saprei come fare, più che un pony servirebbe un piccione viaggiatore: mi sono concesso qualche giorno di vacanza fuori porta e lo studio è chiuso per la settimana di Ferragosto, allora facciamo così: glielo carico sulla Repository, le detto le credenziali di accesso e lei lo scarica quando e dove vuole...”.

"Repo..chè?"

"Repository, ha presente il cloud computing, stà tutto sulla rete, utilizzabile ovunque ci si trovi con un computer o uno smatphone..”

"Dottore mi sono laureata in legge, mica in lingue.... neanche in informatica.... il computer lo sappiamo usare bene qui in studio, non le sto a raccontare: grassetto, giustificato,... qualche problemimo con l'ultima riga della pagina che non sta mai al suo posto.... E usiamo internet ed anche facebook.... siamo moderni qui....".

"Bene Avvocato, allora posso avere la sua e-mail si studio?"

"Si ma mi telefoni quando mi scrive così controllo se arriva..... Comunque eccola “Sweetbetty69@virg****.it .......”

L’ho inventata? No, solo romanzata un pò, ma in stretta aderenza a fatti realmente accaduti.
Nell’era del cloud computing, con servizi tanto utili (anche per noi professionisti) quanto economicamente accessibili (vedi Googleapps, Tungle, Yast, Wave, Mobile Me, ecc), molti di noi, ahimé, non hanno neanche un indirizzo mail presentabile. 
Ciò mi ricorda tanto qualche vecchio avvocato che, cambiato lo studio (un pò più piccolo, un pò meno centrale, oramai i clienti mi conoscono, mi vengono a cercare), mi porgeva un biglietto da visita diligentemente corretto a mano dalla segretaria.... 
Chi gli spiega che esiste Bump: mentre ci stringiamo la mano, i nostri telefonini si scambiano i recapiti, senza errori di trascrizioni e incazzature per ritrovarli....